Ma l'autocritica di cosa

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Uno dei tag di questo decrepito sito, lo trovate molto in basso, recita "la sinistra perde anche per questo motivo": sì, questa idea che la sinistra perda sempre e debba fare sempre autocritica era un luogo comune abbastanza nauseante già vent'anni fa. In seguito abbiamo perso altre volte – si potrebbe dire che abbiamo perso sempre – ma non mi pare sia successo per difetto di autocritiche. Potrebbe anche darsi che ci manchi l'opposto: un po' di autostima. Non tantissima per carità, diciamo quel minimo necessario a non leggere il Foglio come successe a tanti a partire dal povero Veltroni; a non soccombere all'idea del leader carismatico che prima o poi vincerà delle immaginarie elezioni in stile americano – tutta una fantasia di riscatto grazie alla quale ci siamo letteralmente scritti una legge elettorale su misura di Giorgia Meloni e adesso dovremmo anche ascoltare gente che ci spiega che la sinistra ha perso perché non è stata abbastanza di destra. Metto le mani avanti: io il Pd non è che l'abbia votato, e non è che ci sarei rimasto male se avesse perso seriamente (l'ho pure scritto), aprendo magari la porta a una fase costituente eccetera. Ma non è andata esattamente così, guardando i numeri; non sopporto chi parla male del Pd per automatismo, o per una reazione ideologica che non riconosce in sé stesso e denuncia negli altri: e non mi dispiacerebbe che adesso qualcuno dalla base del Pd alzasse un minimo la voce e dicesse: ma autocritica di che? Un partito senza più un leader, con una dirigenza visibilmente raccogliticcia e dimissionaria; senza una direzione e con una strategia perdente; che senza venire da un particolare successo elettorale ha comunque partecipato agli ultimi governi, prendendosi la responsabilità di decisioni responsabili ma pesantissime per la qualità della vita degli italiani; un partito che veniva percepito come quello del rigore e dei sacrifici, abbandonato lungo la strada anche dai quotidiani della sua area, che avevano deciso di sponsorizzare l'ennesimo progetto centrista, l'ennesimo portaborse di Montezemolo; un partito condannato alla sconfitta è andato alle elezioni e si è preso quasi il 20%, quasi un quinto degli italiani lo hanno votato, e adesso dovremmo fare l'autocritica? Per carità, un po' di esame di coscienza non fa mai male, e non c'è dubbio che a contarli mancano quasi un milione di voti. Il M5S ne ha persi parecchi di più ma non sembra che nessuno chieda a Conte una particolare autocritica, anzi ci si complimenta per lui per il notevole risultato e la cosa ha un senso: la fase dei partiti di massa è finita da un pezzo, il periodo in cui si misurava l'insuccesso di un partito da una lieve flessione e un +2% era un terremoto politico è certamente finita. Nessuno poteva aspettarsi da Conte un risultato molto migliore: ma nemmeno da Letta, via. Il motivo per cui dal giorno dopo siamo bombardati da articoli su perché la sinistra perde ha ben poco a vedere con l'oggettiva prestazione elettorale (che io trovo persino sorprendente: voglio dire, Enrico Letta con le mani legate ha fatto il 19%!: chissà se gliene sleghi una, o se magari trovi per il partito di centrosinistra una faccia che non sia quella del nipote di Gianni Letta). Ha più a che vedere con l'inerzia: eravamo tutti convinti che il Pd avrebbe perso e probabilmente molti editoriali erano già nel cassetto assai prima del 25 settembre.

In particolare ho sentito dire che ce n'è uno che spiega che la sinistra deve abbandonare il "politically correct", proprio così, siamo nel 2022 e questo sarebbe il problema, altro che guerra in Ucraina e crisi climatica e pandemia: il politically correct. Avverto che non l'ho letto: non si tratta di snobismo, è dietro il firewall di un quotidiano a cui non intendo dare più un soldo. Siccome non l'ho letto, non lo discuto, perché a dispetto del titolo scemo potrebbe trattarsi di un intervento molto intelligente: non sarebbe la prima volta che il titolista fodera di merda un contenuto di qualità per renderlo annusabile ai suoi lettori ideali, sono cose che succedono, chi è senza peccato scagli il primo titolo intelligente. Preferisco fermarmi al titolo, perché davvero, il problema è tutto lì: chi scrive titoli del genere, non sta partecipando a una sessione di autocritica della sinistra. Chi usa "politically correct" continua a mettere in circolazione una definizione di destra, che serve alla destra per costruire un determinato quadro ("frame") intorno agli argomenti della sinistra. Magari lo fa in buona fede, ma... nel 2022? Sul titolo di un quotidiano nazionale? Naaa. Questo non significa che non si possa discutere di tante cose, a sinistra, e avere un atteggiamento critico nei confronti di un certo tipo di approccio, chiamiamolo woke: vogliamo aprire un dibattito sul linguaggio inclusivo? facciamolo pure, io nel mio credo di averlo aperto più volte. Ma lo chiami, appunto, linguaggio inclusivo. Se lo chiami "politically correct", sei il tizio di destra che vuole spiegarci come essere di sinistra: accetta la cosa, votati il tuo Calenda e levati di torno. La sinistra ha tanti problemi e tu non sei la soluzione. Non sei neanche la sinistra. Forse sei il problema. 

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Non sei neanche fascista: non sei niente

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È dall'inizio della campagna elettorale che l'approccio di molti interlocutori aa Meloni è chiederle se per caso è ancora fascista. Si capisce che qualcuno meno scaltro a questo punto sarebbe sbottato: sì perdio certo che son fassista, vincere e vinceremo, eja eja alalà, basta che mi facciate anche qualche altra domanda. Aa Meloni, invece, resiste: del resto è una vita che non fa altro, con strategie varie che dimostrano se non altro una certa creatività, ad esempio l'ultimo eufemismo è stato una cosa del tipo quando Fini disse che il fascismo era il Male Assoluto io non mi dissociai, e inoltre io aggiungerei che a piazza San Sepolcro lei non c'era (sul serio: non risulta dall'appello), se solo due indizi facessero una prova... insomma è dall'inizio della campagna elettorale che i giornalisti riescono a farle prendere le distanze dal fascismo senza alienarsi la base fascista, il che ci pone il solito problema: è brava lei o sono fresconi i giornalisti? O forse si sono messi d'accordo, a questo punto il dubbio è lecito.


È dall'inizio della campagna elettorale che mi sorprendo a pensare (sbagliando): se fosse fascista, aa Meloni, almeno sarebbe qualcosa. Mentre invece cos'è? Una che è fascista se tu sei fascista, draghiana se ti preoccupi dell'economia, putiniana se odi la Nato, ma invece riflettendo bene la Nato ti piace e allora ecco che aa Meloni ci riflette pure lei per un istante ed è atlantista, anzi lo è sempre stata. Ora questo in effetti è un carattere del fascismo italiano, che prima di essere un'ideologia era una banda di gente che cercava di arrivare al potere puntellandosi su qualsiasi ideologia fosse disponibile in quel momento: partivano socialisti (più soreliani che marxisti), si ritrovarono nazionalisti perché il quel momento il settore era un po' sguarnito ma promettente, avevano la loro dottrina sociale ma dovevano anche tenersi buoni gli industriali che li foraggiavano, eccetera eccetera. Insomma una certa perversa coerenza la tizia ce l'ha, ma chissà se ne è al corrente – voglio dire, parliamo di una che qualche anno fa era convinta che il 24 maggio fosse l'anniversario del Piave: ad associarla al fascismo storico si rischia di conferirle una profondità culturale che non merita. E un'etichetta antisistema paradossale: parliamo di una tizia che appunto, era già capocorrente AN quando Fini lo traghettava nel Polo delle Libertà e Salvini toglieva le rotelle alla bicicletta (e potrebbe averle tolte troppo presto), una che è stata già ministro, in particolare ministro daa gioventù e nessuno si ricorda cos'abbia fatto in quel dicastero – non l'ha fatto squattare ai tizi di Casapound e sorcerie consimili, è già qualcosa. Il meccanismo di fascinazione collettiva per cui a un certo punto ci convinciamo tutti che il tal personaggio tv è la Cosa Nuova della politica, anche se lo conosciamo da trent'anni e da trent'anni le paghiamo qualche stipendio qua, qualche gettone là, è davvero singolare – o forse si sono messi d'accordo i giornalisti, davvero. 

È dall'inizio della campagna elettorale che ci ripetiamo che aa Meloni vincerà: pare lo dicano tutti i sondaggi, che sbagliano sempre ma non possono sbagliare così tanto. Quello che sorprende di più è che non sembra dilagare al Sud, dove il M5S tiene, ma al Nord, dove molti ex elettori berlusconiani e leghisti dovrebbero spostarsi sulla faccia nuova (salvo che nuova non è affatto, ma si vede che è la più nuova che gli è rimasta: che la nostra voglia di facce nuove sorpassa di molto la nostra capacità di produrne). Ora, è pur vero che il centrodestra italiano dal 1994 ha sempre funzionato in questo modo, sviluppando etichette diverse che si adattassero al territorio a dispetto della coerenza interna: per cui i leghisti federalisti andavano tranquillamente in coalizione con i finiani centralisti anche se nessuno li vedeva mai nella stessa stanza. È persino possibile che una volta mandati questi fratelliditalia al potere, gli elettori del Nord non notino nessuna differenza con le gang berlusconiane e leghiste che ci avevano mandato fino alla scorsa legislatura, tanto sovrapponibili sono la maggior parte dei temi: prima gli italiani, morte al politicamentecorretto, abortire è un po' morire e così via. Certo, c'è il federalismo ma è sempre stata una carota che gli stessi leghisti mostravano all'asino che cavalcavano: un orizzonte sempre promesso, sempre differito, anche perché poi quando ci arrivi scopri che si tratta di spostare due o tre edifici ministeriali a Monza, e insomma forse è molto meglio sognarlo che realizzarlo. E non escludo che i fratelliditalia si scoprano anche loro federalisti, se gli fa comodo. Eppure: sul serio manderete in parlamento gente che non conoscete, di cui non avete mai sentito parlare, di un partito che fino a ieri da Bologna in su era il classico banchetto di quattro gatti, tra i Testimoni di Geova e i FirmaControlaDroga: sul serio avete deciso che questo è il partito che meglio può rappresentare le vostre istanze in parlamento? Certo, è chiaro che a questo punto Salvini vi ha deluso (per gli stessi motivi per cui vi avrà deluso aa Meloni tra sei mesi: perché non ha la bacchetta magica per riportare l'Italia al 1982): ma sul serio basta questo per travasare il voto settentrionale da un partito che è comunque radicato nel territorio, che può vantare migliaia di amministratori (tra i quali qualche personaggio valido e competente deve pur esserci, per statistica) all'involucro vuoto che sta sotto a una tizia famosa perché in un comizio ha detto sono una madre sono cristiana? Sul serio basta così poco

Siamo insomma già diventati presidenzialisti dentro, come gli americani? O persino peggio degli statunitensi che almeno tra un presidente e l'altro votano anche un Congresso che possa fare da contrappeso: mentre per noi alla fine ormai il parlamento non è che la cassa di risonanza del Leader che scegliamo tra una rosa di leader che non hanno ancora fatto in tempo a deluderci: Berlusconi via, Renzi via, Salvini via, Conte via, tocca aa Meloni: è così che funziona? Perché questo, vedete, è davvero il fascismo: che partiva socialista, diventò nazionalista, ma quando si trasformò in una forma di governo prevedeva esattamente questo: l'identificazione della volontà popolare nella figura di un leader, da acclamare di tanto in tanto attraverso plebisciti: il parlamento a quel punto diventava pleonastico e infatti a un certo punto venne chiuso. Il leader poi aveva un bel da fare ad accontentare la monarchia che lo aveva appoggiato, gli industriali che (non mi stancherò mai di ripeterlo) lo foraggiavano, e nel frattempo mimare una sensibilità sociale, con un'abilità che ai tempi ingannò molte persone e continua a illuderne un secolo dopo: il suo trono era sempre traballante e la necessità di puntellarlo portò a scelte scellerate. Allo stesso modo aa Meloni, una volta vinte queste elezioni, si troverà molte gatte da pelare, ma almeno potrebbe contare su un parlamento di perfetti sconosciuti che pigino tutti i tasti che vuole lei. Come siamo arrivati a questo? Il fondatore del fascismo almeno dovette penare un po', fondare dei giornali, bussare alle porte di industriali che li finanziassero, litigare coi socialisti, andare in guerra e ci poteva lasciare le penne, organizzarsi una marcia su Roma: tutto gli si può essere rimproverato (veramente tutto) ma non l'intraprendenza. E quando si trattò di scriversi una legge elettorale su misura, la dovette far scrivere ai suoi – non agli avversari. Guardando aa Meloni, ecco, non pare che abbia sudato tutte queste camicie: certo, sopravvivere da donna in mezzo a bande di ratti di fogna per più di vent'anni, lasciarsi esibire come foglia di fico di un fascismo dal volto umano dove il volto era proprio il suo, non dev'essere stata una passeggiata e glielo riconosciamo. Ma se bastasse questa fatica a trasformare un'arrivista in una statista, ecco, a questo punto ce ne saremo accorti. 

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Il suicidio programmato del Pd

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Questo blog, per quanto ormai catatonico, finché è acceso resta un pungolo – c'è sempre la remota possibilità che qualche discendente lo ritrovi e si domandi: ma insomma, lui dov'era mentre la catastrofe si compiva? Dopo aver dettagliato per mesi e per anni ogni singola sciocchezza di Berlusconi e ogni ingenuità dei suoi avversari, cosa stava facendo quando i nodi vennero al pettine e una legge elettorale scritta dalla sinistra regalò due terzi dei seggi a una destra immorale e immonda? Ascoltava Battiato, compulsava i padri bollandisti, si era rincitrullito? Non aveva niente da dire, come Kraus nel '33? Sì, beh, in parte è così. Il disastro che sta arrivando è così prevedibile, così effettivamente previsto, che non me ne dovete volere se negli ultimi secondi prima della collisione preferisco distogliere lo sguardo: non ho un fetish per questo tipo di spettacolo. La rabbia che provo per tutti gli errori che sono stati fatti, in particolare da chi in teoria mi rappresentava: errori che ho segnalato, al tempo, con tutta la voce che avevo (poca), su tutte le testate in cui mi facevano scrivere (ma non mi leggevano)... questa rabbia non posso non provarla anche nei confronti di me stesso: se davvero avevo tutte queste ragioni, avrei dovuto gridarle più forte, trovare parole più convincenti, unirmi al coro di chi ne aveva di simili. E dovevo farlo qualche anno fa, adesso è tardi. 


Tutto quello che sta succedendo, per quanto così nuovo, non è che l'esito di mosse sbagliate che sono state fatte anni fa, al punto che a volte mi domando se la sinistra non abbia perso la partita più o meno nel 2008, se tutta la disfatta non sia alla fine l'eredità che ci lascia Walter Veltroni: una bomba a tempo concepita per decimare il progressismo italiano e magari porre fine alla repubblica parlamentare. Veltroni ovviamente ignorava la reale conseguenza delle sue azioni, quando chiudeva con la sinistra e battezzava quella "vocazione maggioritaria", che come avremmo capito più tardi consisteva nel cercare disperatamente la legge elettorale più adatta a far vincere le destre: quindici anni dopo, Enrico Letta lo avrà capito di essere una specie di esecutore testamentario, il tizio incaricato di staccare la spina? Il fatto che lo siano andati a prendere a Parigi, quando lui ormai faceva tutt'altro, è un indizio molto forte.

Il Pd poi è il partito della ragionevolezza, anche a discapito dei fatti, ed è in effetti ragionevole che ritengano necessario perdere queste elezioni: in fondo fin qui ha funzionato così, il Pd perde e dopo un po' torna al governo lo stesso, quindi perché darsi la pena? E se stavolta il giochetto non riuscisse, perché aa Meloni e compagnia potrebbero dilagare in virtù di una legge elettorale demenziale che Letta non aveva la possibilità politica (ma forse nemmeno la volontà) di cambiare... beh, per i maggiorenti Pd questa non sarebbe tutto sommato una tragedia, bensì una conferma che il sistema maggioritario funziona e ci regala quell'alternanza all'americana che Veltroni tanto sognava. Alla fine la ragionevolezza del Pd, che tanti vantaggi gli ha portato in questi anni, rischia di essere il suo difetto finale, in quanto basato su idee astratte di democrazia e alternanza che i dirigenti democratici tendono a scambiare con la realtà: l'idea tanto veltroniana delle elezioni come disfida leale ad armi pari, oggi vinco io e tra cinque anni vinci tu, li porta a correre verso la disfatta con un entusiasmo accelerazionista: prima perdiamo meglio è, si dicono sottovoce, prima perdiamo prima vinciamo. Che la sconfitta possa essere così pesante da annichilirli, da togliere i pochi spazi che gli sono rimasti, non lo sospettano nemmeno. A ogni tornata perdono pezzi e fanno finta di niente, convinti che prima o poi vinceranno loro e recupereranno tutto, come se le regole del gioco lo prevedessero; e intanto perdono spazio sulla Rai, i quotidiani nazionali piuttosto di tifare per loro si inventano fenomeni discutibili come Calenda e compagnia. Non hanno nemmeno i soldi per i manifesti, e non li hanno anche grazie a Enrico Letta che profittò del breve periodo in cui governava per tagliare i finanziamenti ai partiti e sostituirli col demenziale due per mille: stava segando il ramo su cui si sedeva, al tempo lo scrissi, ma forse non lo scrissi abbastanza bene, non lo scrissi abbastanza forte, insomma non è servito a niente. 

Ho scritto anche tante volte a proposito del voto utile, e intendiamoci: non rinnego una parola. Un voto in sé non è che possa cambiare più di tanto le cose, ma non ha altra utilità. Il voto di protesta non protesta un bel niente, così come l'astensione che non ha mai, ribadisco mai, creato le premesse per sollevazioni popolari. Il voto identitario è una sciocchezza, anche solo per il fatto che il voto è segreto: l'identità puoi esprimerla in tanti luoghi reali e digitali, ma quando voti stai semplicemente mettendo un +1 e a nessuno interessa se il tuo 1 è più lungo o più corto: vale comunque 1, cerca di metterlo dove è più utile. Ma che sia più utile continuare a darlo a questo Pd, un partito che ogni volta che ha avuto la possibilità di scrivere le regole le ha scritte favorevoli per l'avversario; ecco, questo è discutibile. Chi da quindici anni non fa che provare a impiccarsi dovrebbe almeno smettere di chiederci la corda in prestito. Può darsi che alla fine io lo voti comunque, semplicemente per la credibilità dei candidati che hanno espresso nella mia circoscrizione: così come in altre circoscrizioni non lo voterei mai, proprio perché non riterrei utile mandare certi candidati alle camere. E forse anch'io di nascosto da me stesso spero che la sconfitta, se proprio sconfitta dev'essere, sia così travolgente da chiarire anche ai sordociechi che il Pd va rifatto da capo, o sostituito con qualcos'altro magari un po' meno ragionevole e un po' più, come dire, furbo. Sempre ammesso che resti qualche spazio, che una destra supermaggioritaria non decida di riscrivere un po' di costituzione, che Corriere e Repubblica non decidano che il progressismo è qualche altro ex portaborse di industriali, eccetera. Comunque vada, ci vediamo di là.

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Ma se tutto invece andasse bene (che incubo)

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Si diceva che non abbiamo la minima idea di cosa succederà quest'autunno, e quindi mi è venuta in mente questa eventualità: metti che tutto vada bene.

Non sarebbe incredibile?

Eh.

Il covid, ad esempio: ha continuato a colpire, nel suo piccolo, per tutta l'estate (e le vittime, a contarle, non sono poi così poche), però la curva è in declino. Certo, ora comincia la scuola. Da me sono bastate le riunioni preliminari dei docenti per contare i primi tamponi positivi, ma magari è una coincidenza. Ma... mettiamo invece che tutto vada bene; mettiamo che il covid non colpisca più. Sarebbe bello, vero? Già.

E la guerra? Per quel che sembra di capire, l'esercito russo ha preso una bella batosta. Questo a dire il vero non significa che la guerra stia per finire, anzi potrebbe succedere esattamente il contrario; che i russi si irrigidiscano, intensificando i bombardamenti di ritorsione e che gli ucraini non siano interessati a scendere a compromessi. Ma... mettiamo invece che tutto vada bene; mettiamo che la guerra finisca all'improvviso con un cambio di regime a Mosca, con i successori di Putin ansiosi di venderci il loro gas a prezzi di sconto. Sarebbe bello, vero? Già.

Ma non solo. Sentite che altro potrebbe succedere. Potremmo avere un autunno eccezionalmente mite, e quindi nemmeno tutta questa necessità di bruciare gas. Potremmo avere a questo punto una ripresa economica, galvanizzata dai provvedimenti già presi dai governi Conte e Draghi. Non sarebbe fantastico? 

Sì, in teoria sarebbe fantastico, sì, senonché...

...tutto questo succederebbe proprio all'indomani di una vittoria elettorale di Giorgia Meloni, sulla carta l'oggetto più a destra della storia d'Italia dopo il 1945. Cioè se tutto andasse così bene, la più miracolata sarebbe lei (già fin qui favorita da fin troppe circostanze, e dall'insipienza di avversari e alleati concorrenti). 

Per cui succede questa cosa terribile: non solo non credo che tutto andrà bene (è mai successo che tutto sia andato bene? Sarebbe la prima volta), ma nemmeno riesco ad augurarmelo. Cioè tre anni di pandemia e poi arriva aa Meloni proprio quando finisce la pandemia? Una guerra che rischiava di diventare mondiale e poi arriva aa Meloni e all'improvviso si sgonfia? Sarebbe... immeritato, ecco. E soprattutto non credo che ci converrebbe, nel medio-lungo termine. 

Così, se proprio volete sapere come mi sento in questi giorni: odio la guerra, e ho persino paura che finisca. Ho orrore per la pandemia, che però se finisce proprio adesso mi fa incazzare. E mi detesto per i discorsi che mi ascolto fare. 

(Certo, se proprio volessi sperare che tutto vada bene, dovrei ipotizzare anche una sconfitta daa Meloni; ma razionalmente non ci riesco: mi sembra più facile una resa di Putin. Tanto vantaggiosa risulta la legge elettorale che i suoi avversari le hanno regalato).

(Che poi in effetti, anche se per assurdo vincessero i suoi avversari, dopo una simile prova di ottusità strategica, siamo onesti: se lo meriterebbero? Probabilmente comincerebbero a discutere una legge elettorale ancor più demenziale affinché almeno vinca le prossime elezioni: e sappiamo che ne sarebbero capaci).

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Perché votiamo a settembre

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(Volevo scrivere qualcosa sulle elezioni, ma c'era nell'aria un temporale che non riusciva a risolversi. Ho passato ore a tenere d'occhio il cielo da tutte le finestre di casa per capire da che parte avrei dovuto chiudere nel momento della bomba d'acqua, come un marinaio che saltella da poppa a prua e non trova pace. Il cielo notturno s'illuminava a volte per un istante, come un globo di neon, sfarfallava, prima di spegnersi o esplodere. Non si spegneva mai e non esplodeva mai). 

I motivi per cui si votava in primavera confesso di non averli mai afferrati. Probabilmente c'era un non detto, ragioni molto pratiche e poco nobili, quadrature di conti, cose del genere. Che le istituzioni si stessero, progressivamente, sfaldando, lo abbiamo notato anche dal fatto che si cominciava a votare sempre prima: a marzo, a febbraio. Nulla di incostituzionale, eppure a chi stava al mondo da un po' risuonava come uno scricchiolio sempre meno ignorabile. E quest'anno si vota a settembre, con un'accelerazione che è tipica dei disastri. Perché votiamo a settembre? I motivi di giugno ce li siamo già più o meno dimenticati – Conte ha pestato i piedi, Draghi era stanco, Aa Meloni aveva i sondaggi buoni. Niente che non fosse già successo, postumi di qualche elezione amministrativa. Sì, ma di solito a questo punto si faceva un governo balneare e buona lì. Invece voteremo a settembre. Appena entrati a scuola, ci fermeremo per votare. Perché stavolta non potevamo fare diversamente? Crisi di governo ne abbiamo avute così tante – i meno giovani ricorderanno che anche ai tempi dello stabilissimo pentapartito, occorreva rimpastare in media ogni venti mesi. Cosa ha di veramente diverso, questa crisi, da tutte le crisi dal 1946 in poi? 

Beh, tutto. Viviamo in tempi esageratamente interessanti. C'è una guerra – ce ne sono state tante, ma questa è una guerra con la Russia e se sembra scongiurata la possibilità di combatterla con le testate nucleare, forse è previsto che diamo il nostro contributo spegnendo il riscaldamento. C'è un'epidemia – ce ne sono state tante, ma facevano meno notizia e probabilmente meno morti: oddio, questa continua a farne tantissimi ma una specie di comitato dell'inconscio collettivo ha deciso che ne siamo fuori (decisivo il sostegno di un po' tutti gli organi di stampa, che forse a questo punto erano stanchi di intervistare virologi, inoltre gli industriali che li pagano preferiscono avere un po' più morti e un po' meno lockdown). Che altro c'è? Beh, date un'occhiata alla finestra, magari il monsone sta passando anche da voi. I raccolti come stanno andando? Nella mia zona hanno raccolto un quarto del granoturco che si aspettavano di raccogliere, questo capisco che non sia interessante quanto i tweet di qualche tizio che si batte per il 5%, in fondo il granoturco si dà alle bestie. Carestia, Guerra, Epidemia danno sempre la sensazione di incontrarsi in un posto per caso, ma a ben vedere viaggiano assieme. Ecco perché voteremo a settembre. Ecco perché Conte non poteva andare avanti, perché Draghi era stanco, perché aa Meloni aveva fretta. Voteremo a settembre perché dopo non abbiamo la minima idea di cosa ci succederà.

Sul serio: non abbiamo la minima idea. Per dire: Putin potrebbe cedere all'improvviso. È sinceramente il mio scenario preferito. Quello che sta stritolando l'Europa è in fondo un braccio di ferro, e i bracci di ferro hanno di buono che finiscono all'improvviso (sì, ma a volte per arrivare a questi finali improvvisi ci vogliono 40 anni, vedi Guerra Fredda). Per ottenere un cambio di regime in Russia, la Nato ha messo in atto una serie di misure che hanno portato alla recessione gran parte d'Europa (compresa, si spera, la Russia). Ora il punto è: cederanno prima i russi, che forse all'austerità sono più abituati e hanno meno margini per esprimere il loro malcontento, o gli europei, in particolare noi europei occidentali, i bambini viziati del mondo, ancora coi postumi delle sbornie coloniali? Nessuno lo sa davvero, anche perché dipende dal clima, e il clima sta cambiando troppo velocemente. Metti che l'estate si protragga fino a ottobre, e le ottobrate a novembre: magari teniamo duro e molla Putin. Metti invece che da qui in poi sia una lunga stagione delle piogge con un settembre già freddino, e un governo che ci propone di tenere il riscaldamento al minimo: ce la facciamo? E chi lo sa. Non ne ho la minima idea, così come non mi sarei mai aspettato che gli italiani rispettassero un lockdown rigido come quello del 2020. Magari ci terremo caldi cantando, va' a sapere. Oppure andremo a cercare i governanti coi forconi. I prezzi dei generi alimentari aumenteranno? Ovvio che aumenteranno, ma di quanto? Dovremo chiudere le scuole, non per il contagio (quello a quanto pare dobbiamo prendercelo e ringraziare), ma per risparmiare il riscaldamento – ovvero per farlo pagare alle famiglie che dovranno scaldarsi i figli in casa? Magari obbediremo: per cacciare Putin questo e altro. O magari cominceremo a inneggiare a Putin, da quel che vedo in giro non mi sento di escluderlo. 

Non credo che nessuno possa escludere niente. Il virus si evolve, il clima cambia, la guerra sembra a uno stallo (uno stallo che potrebbe risolversi domani o durare come l'Afganistan). Voteremo a settembre perché da ottobre in poi nessuno ha la minima idea, e un'altra cosa interessante che succede quando nessuno ha la minima idea è che nel dubbio alza il prezzo, così che per esempio quello del gas è aumentato molto prima che ce ne fosse davvero penuria. Qualcuno ci sta ovviamente speculando sopra, ma dando una scorsa ai titoli dei giornali non è che la cosa interessi molto: l'idea di includere la lotta alla speculazione tra gli argomenti della campagna elettorale non è venuta a nessun personaggio di rilievo. Eppure sembra ai miei occhi di profano un argomento perfetto: la gente teme i rincari di bolletta, teme l'inverno gelido, e alla borsa di Amsterdam qualcuno sta speculando sulle loro paure. C'è un problema popolare, c'è un colpevole meschino... no, niente da fare, alla fine a proporre il price cap dev'essere lo stesso Draghi che del capitalismo non è nemmeno il volto umano, diciamo il volto non ancora completamente deformato dagli spiriti animali. Draghi alla fine resterà disponibile, se abbiamo capito la sceneggiata del meeting di Rimini. Il centrodestra vuole vincere la gara elettorale, è programmato per farlo (tanto quanto il Pd di Letta è programmato per perderla). Il fatto che l'Italia sia nella situazione più complessa e indecifrabile dal 1943 non è che gli sfugge, ma per gente come la Meloni o Salvini è un dettaglio: devono vincere, tutti glielo chiedono da anni, è il traguardo della carriera, della vita, poi magari a governare chiameranno qualcuno del mestiere. Lo stesso Berlusconi alla fine vorrebbe solo un riscatto, che tutti se lo ricordassero come il nonno della patria al Quirinale e non come il satiro di palazzo Grazioli. Mi viene in mente quel periodo in cui i ragazzini si erano convinti che il mondo sarebbe finito nel 2012 (gli adulti li avevano convinti, per vendergli libri e film). Ce ne fu uno che mentre cercavo di spiegare che era tutta una sciocchezza, mi chiese: ma io entro il 2012 faccio in tempo a prendere il patentino? L'importante era riuscire a mettersi tra le gambe in tempo un motorino, dopodiché il mondo poteva benissimo perire. Salvini, Aa Meloni, Berlusconi mi ricordano un poco quel ragazzo. 

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